I gatti sono animali sociali che circolano liberamente e, spesso, se ne trovano anche nelle parti comuni del condominio.
Come noto oramai a tutti, la legge di riforma del condominio (1) ha, in merito all’ammissibilità degli animali domestici, apportato una novità nell’ambito dell’articolo 1138 cod. civ., che al V comma prevede:
«le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici»
NULLO IL DIVIETO DI DETENERE ANIMALI
Secondo la recente giurisprudenza, tale disposizioni non può essere derogata neanche all’unanimità dei condòmini.
Il nostro ordinamento tutela i gatti, quali animali di affezione, con la legge 281-91; il testo della legge tutela le colonie che vivono in un determinato territorio, statuendo come:
«7. È vietato a chiunque maltrattare i gatti che vivono in libertà.
8. I gatti che vivono in libertà sono sterilizzati dall’autorità sanitaria competente per territorio e riammessi nel loro gruppo.
9. I gatti in libertà possono essere soppressi soltanto se gravemente malati o
incurabili.
10. Gli enti e le associazioni protezioniste possono, d’intesa con le unità sanitarie locali, avere in gestione le colonie di gatti che vivono in libertà, assicurandone la cura della salute e le condizioni di sopravvivenza.» (Art. 2)
GATTI AMMESSI NEL RISPETTO DEGLI ALTRI
Quindi, anche le colonie feline sono ammesse in condominio; ovviamente, nel rispetto di quanto stabilito dall’articolo 1102 cod. civ.:
«Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa. Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso.» La presenza di gatti in condominio, quindi, può produrre conflitti anche in merito all’utilizzo delle parti comuni; in tal caso, la giurisprudenza di legittimità ha più volte statuito come il diritto di cui è titolare ciascun condòmino di usare e godere delle cose di proprietà comune a suo piacimento trova limite nel pari diritto di uso e di godimento degli altri condomini:
«che in tema di condominio, ciascun condòmino è libero di servirsi della cosa comune, anche per fine esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilità, purchè non alteri la destinazione della cosa comune e consenta un uso paritetico agli altri condomini (Cass. 16 luglio 2004, n. 13261)» (2)
Di conseguenza, l’uso degli spazi comuni di un edificio in condominio permettendo al proprio gatto di circolare senza le attenzioni richieste dal normale criterio di prudenza può determinare una limitazione non consentita del pari diritto che gli altri condòmini hanno sui medesimi spazi. (3)
In tal caso, sono legittime le clausole che prescrivono la rimozione delle deiezioni del gatto dagli spazi comuni, contemplando sanzioni pecuniarie nei confronti dei trasgressori. Ovviamente, non è possibile sanzionare il proprietario del gatto in mancanza di prove che confermino che le deiezioni siano riconducibili al suo gatto.
Inoltre, l’occupazione da parte di alcuni condòmini di uno spazio comune attraverso la collocazione di costruzioni per gatti, non genera un abuso nel caso in cui lo spazio occupato sia marginale rispetto alla superficie totale dell’area di proprietà comune e, comunque, non vada ad alterare l’uso del cortile da parte degli altri comproprietari, né escluda per gli stessi la possibilità di fare del cortile medesimo un analogo uso particolare. Il tutto, a patto che non determini un elemento di danno per gli altri condòmini.
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